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Per vivere di musica trovati un lavoro di Mile Wood

Riassunto e, soprattutto, riflessioni del nostro Massimo Comi


Il libro che ho letto per questo articolo è scritto in modo estremamente comprensibile e diretto: l'autore va sempre dritto al punto, senza inutili fronzoli.

Chiarisce subito che non si tratta di una guida per incrementare senza fatica in modo esponenziale i follower su Spotify e YouTube, ma di un elenco di una serie di regole ed indicazioni secondo lui da rispettare per avere qualche speranza di carriera nel mondo della musica.

Mile Wood ci suggerisce di considerare la registrazione di un nuovo disco come l'apertura di una start up, che ha bisogno quindi di un'organizzazione e di una pianificazione con tutti i crismi: non ci si può insomma gettare a capofitto, all'avventura, nella produzione di un disco, ma bisogna farlo con la testa.

Con l'avvento dell'era digitale, sono cambiati i processi di realizzazione e fruizione di un'opera musicale: prima, per produrre e pubblicare un disco, era necessario sudare letteralmente sette camicie, esponendosi alle critiche dei compaesani invidiosi e trascorrendo ore interminabili in studio di registrazione, fatte anche di sane litigate. Ora, invece, si può produrre e pubblicare la propria canzone semplicemente tramite un laptop, che, con i programmi disponibili al momento, può diventare uno studio di registrazione portatile.

Wood ci vuole parlare dei meccanismi dell'industria musicale che l'aspirante musicista moderno si trova a dover affrontare, dicendoci che l'avventura è piena di incognite e che esiste anche un fattore X, cioè la fortuna.

Nonostante il fatto che tutto sembri diventato più semplice, l'autore ci mette in guardia: per emergere, ci vuole comunque una grandissima dedizione ed è statisticamente provato che pochi ce la fanno veramente, ma non bisogna perdere la speranza. Se si vuole essere dei veri artisti, bisogna avere a che fare anche con le cosiddette “scartoffie”.

Non esiste più l'idea dell'artista “puro”, che non si contamina con le logiche di marketing: quello che si deve fare come prima cosa è pianificare la propria attività con progettualità.

Una band, al giorno d'oggi, deve secondo Mile Wood assomigliare sempre di più ad un'azienda, con una persona deputata ad organizzare i processi al suo interno. Un altro consiglio è quello di non avere fretta di pubblicare, ma di farlo solo quando tutto quello che ci sta dietro è stato ultimato in modo perfetto, perché le cose belle restano nascoste, mentre quelle orrende ci mettono pochissimo a venire a galla.

Il mondo delle case discografiche, inoltre, è cambiato, poiché ai grandi colossi che hanno sempre dominato il mercato si stanno pian piano sostituendo delle piccole etichette, agili e competenti nel mondo del Web, che vanno alla ricerca di talenti interessanti e solo secondariamente pensano al profitto. Le strutture si sono fatte più snelle e si pensa che, per lavorare in modo egregio, non sia più necessario avere milioni di fatturato.

E' poi fondamentale far capire a chi ci si trova di fronte nel proprio percorso che si è delle persone serie, pronte a farsi in quattro pur di pubblicare del materiale di ottima fattura.

Al di là di tutto, comunque, per produrre un disco ci vogliono i soldi. Dove trovarli se si è artisti emergenti? La soluzione dell'autore è il cosiddetto “crowdfunding”: per attuarlo nel modo giusto, però, bisogna prima stabilire delle connessioni dal vivo, di persona, in presenza dell'altro, in modo che lui si senta coinvolto nel progetto e si convinca a dare un aiuto economico.

A questo proposito ora, oltre ai concerti live, esistono anche modi “virtuali” per crearsi una propria fanbase, tramite le piattaforme che i Facebook ed i Google della situazione mettono a disposizione. Attenzione però: il “virtuale” non sarà mai efficace come il “reale” ed è assolutamente necessario che la propria fanbase sia affezionata, coinvolta e coccolata.

Con l'avvento dell'era digitale, la musica è immediatamente disponibile su molte piattaforme, e ciò ha portato alla crisi dell'industria discografica, che si basa sulla vendita di un supporto “concreto”, che sia il CD o il vinile.

Ora le generazioni più giovani pensano che la musica sia come l'aria che respirano e ci mettono veramente poco ad abbandonare un artista che non è di loro gradimento. Prima, quando la musica si pagava a caro prezzo, a causa del complesso processo che portava alla produzione del supporto per ascoltarla, ci si pensava più di una volta prima di “scaricare” una certa band o un certo artista: una traccia la si ascoltava fino in fondo anche se non piaceva.

In questa nuova era, i modi più convenienti per proporsi sono, secondo l'autore, l'ep ed il singolo, perché l'LP se lo possono permettere solo i grandi nomi, già affermati.

Ci sono poi, a detta di Wood, sei diverse fasi nel processo che porta dall'idea di un pezzo alla sua registrazione: si tratta di momenti separati e si può passare al successivo solo quando si è sicuri di aver completato perfettamente il precedente. Abbiamo quindi la Creazione, la Pre-Produzione, la Pianificazione, la Produzione, la Pubblicazione e la Promozione: completare ogni fase è fondamentale per arrivare ad un prodotto finito che sia appetibile per il mercato ed il pubblico. Bisogna sapere esattamente come promuovere il proprio prodotto, e tante volte la Promozione si attua già durante la Creazione.

L'autore continua affermando che la regola del “chi fa da sé fa per tre” non vale nel mondo della musica: bisogna circondarsi di figure professionali competenti, che sanno quello che fanno e dove vogliono arrivare.

L'artista si trova dunque all'interno di tre cerchi concentrici: nel primo c'è lui con la sua idea, nel secondo ci sono le figure professionali indispensabili per la completa riuscita dell'opera musicale (come ad esempio l'autore, l'ingegnere del suono, l'arrangiatore ed il producer), che contribuiscono a mettere al loro giusto posto tutti i tasselli del mosaico. Nel terzo cerchio, ci sono le figure professionali che lo aiutano a mettere il proprio prodotto sul mercato (il Manager, l'ufficio stampa, l'etichetta ed il booking delle sale concerto).

Wood passa poi a parlare dei meccanismi che regolavano l'attività delle vecchie label, quando si sono trovate a non vendere più dischi, a causa dell'avvento del digitale. Il ragionamento era questo: visto che non si generavano più profitti, l'idea era di vendere i dischi agli artisti stessi al triplo del costo di produzione, aspettando poi che gli artisti li rivendessero durante i loro live. Il guadagno era quindi sia sulla differenza tra i costi di produzione e quelli di vendita agli artisti che sui diritti, dei quali le etichette si prendevano una bella fetta.

Con questo modo di procedere, nel caso di artisti emergenti, l'unico modo per guadagnarci qualcosa era di organizzare un sacco di concerti live e di mettere il banchetto all'ingresso alla fine di ogni concerto.

Ci sono però anche casi in cui l'etichetta si fa carico dei costi di produzione e promozione, ma, se i proventi generati dal disco in termini di royalties non coprono questi costi, l'etichetta non paga all'artista o alla band i proventi stessi. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi l'artista o la band non ha l'obbligo di restituire all'etichetta i soldi che essa ha anticipato. L'etichetta stessa, poi, mette in preventivo il fatto che il disco possa non avere successo, e che quindi il suo investimento sia un rischio d'impresa.

Un'altra soluzione è quella di aprire una propria label: in questo caso, Wood cita sette regole base per non restare “fregati”.

E' dunque necessario trovare un aggregatore che renda disponibili le opere su tutti gli stores, senza farsi abbindolare sulle percentuali di guadagno, non offrirsi mai di pagare personalmente la pubblicazione dei dischi dei propri artisti, perché la quota delle royalties totali che restano in mano all'etichetta dell'artista sarà sempre esigua, avere un'assistenza post-pubblicazione molto qualificata, circondarsi dei soci giusti, definire bene ruoli e competenze e non sottovalutare l'aspetto fiscale.

Successivamente, l'autore si sofferma su una domanda che si fanno un po' tutti i musicisti: “Ma la mia musica piacerà?”. Dice di tenersi lontano dai rompiscatole e dai critici musicali da bar, cercando di raggiungere un pubblico più vasto. L'esplosione del fenomeno TikTok dà valore ad una teoria molto utilizzata nel marketing, che i social media stanno utilizzando sempre più per elaborare strategie sofisticate: l'effetto da mera esposizione.

Secondo questa teoria, delle semplici e ripetute esposizioni di un soggetto ad uno stimolo sono sufficienti a rendere quel soggetto positivamente orientato verso lo stimolo stesso. La stessa cosa avviene con il pubblico di massa, quello che sembra più distaccato dalla musica di un certo autore: questo primo approccio lo rende più “vulnerabile” all'ascolto dei brani stessi. Se pensiamo alle ore spese sui social network e lo moltiplichiamo per il numero di utenti, vediamo l'enorme potenzialità che ha questa teoria. All'impetuosa salita della curva dei followers fa da contraltare, di rimbalzo, un drastico calo della stessa poco tempo dopo. La bravura sta nel mantenere fedeli gli ascoltatori che sono rimasti affezionati.

Inoltre, è necessario assicurarsi che i followers acquisiti siano dei veri fans: ogni genere di musica può avere la sua fanbase, ed è necessario identificarla, curarla e renderla affezionata. Dato che l'algoritmo di Instagram e Facebook ci ripropone gli argomenti verso i quali abbiamo dimostrato interesse, è necessario pubblicare contenuti sempre strettamente correlati al processo di creazione dell'album che si sta compiendo, in modo che questi vengano riproposti con frequenza agli utenti che ci seguono, facendoli diventare dei fans.

Ogni social network, poi, ha un suo linguaggio e bisogna diventare bravi ad esprimersi in tutti i linguaggi diversi che esistono sulla rete.

L'autore ritiene poi fondamentale andare a scoprire il maggior numero di dettagli possibile sulla conformazione della propria fanbase, per potergli comunicare il messaggio adatto: l'analisi dei dati aiuta gli operatori che supportano gli artisti a capire se questi ultimi si stanno muovendo bene in termini di promozione.

Non bisogna commettere l'errore di pensare che i fans siano anche ascoltatori. A questo proposito, è stata elaborata una piramide, suddivisa in tre settori, che mostra le tre tipologie tipiche di fans presenti in rete: i casual fans, che occupano la fetta maggiore della piramide, sono quelli che conoscono l'artista, che magari lo apprezzano, ma che non sono disposti ad acquistare le sue opere; i regular fans, che si posizionano al centro della piramide, e sono quelli un po' più interessati all'artista, più propensi a partecipare ai suoi concerti, ma senza sbattersi troppo; i true fans, che rappresentano solo il 5% della quota totale (la punta della piramide) e che sono quelli che sicuramente acquisteranno ogni prodotto messo in vendita dall'artista, che hanno grandi aspettative su di lui, che lo monitorano e vogliono entrare in contatto con lui. Quest'ultimo gruppo di fans è il più importante, perché svolge il ruolo di “evangelizzatore”, portando all'artista nuovi fans, influenzandoli e convincendoli inconsapevolmente.

Comunicare con decine di migliaia di persone per ottenere una buona quota di true fans è difficile e dispendioso, quindi bisogna circondarsi necessariamente di esperti del settore.

Wood si sofferma poi sull'aspetto meramente economico dell'attività di un artista, affermando che le sue fonti di guadagno si suddividono sostanzialmente in tre tipologie: quelle derivanti dalla musica registrata (streaming e download), quelle che originano dal diritto d'autore (diritti di esecuzione e di riproduzione meccanica) e quelle più importanti, che derivano dalla musica dal vivo. Per quanto riguarda queste ultime, è necessario precisare che un tempo la SIAE ne conferiva solo il 75% all'artista, attribuendo il resto ad autori ed editori, secondo un concetto di casualità statistica. Per questo motivo, sempre più artisti si sono rivolti a Soundreef, che ha promesso una ripartizione analitica dei diritti, cosa che ha portato la SIAE ha cambiare con il tempo la propria filosofia.

A conclusione di tutto il discorso, l'autore sottolinea ancora una volta che il percorso per farsi strada nel mondo della musica è immensamente tortuoso, ma che è lecito sognare, tenendo ben presenti gli obiettivi graduali e raggiungibili: ogni piccolo passo in più darà la forza per compiere il passo successivo, restando con i piedi per terra e mantenendo una visione lucida delle cose.

Devo dire che la lettura di questo libro mi ha aperto un mondo, che prima non conoscevo, o almeno conoscevo in generale. Anche se è scritto in modo estremamente chiaro e comprensibile, è necessario secondo me leggerlo più volte per capirne a fondo il significato e le dinamiche.

Credo anche che sia una guida più che utile per gli artisti emergenti, che si affacciano per la prima volta al mondo della musica, perché mette in evidenza sia tutti gli ostacoli che si possono trovare sul proprio cammino, sia tutte le possibilità di crescita e tutti gli strumenti e le figure professionali utili al raggiungimento dei propri scopi.

Il mio consiglio è quindi quello di leggerlo, anche solo per curiosità, perché non illude inutilmente, ma allo stesso tempo dice che chi lavora sodo e resta lucido verrà in qualche modo premiato alla fine del suo percorso.


 
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