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Gli elementi fondamentali per una canzone “perfetta"

Aggiornamento: 3 ott 2020

Nell’articolo di questa sera, Massimo Comi, vorrebbe fare un sunto degli elementi per lui fondamentali per la bellezza e apprezzabilità di una canzone.


Mi chiedo quindi: “da quali parti fondamentali deve essere costituita una canzone per essere, non dico perfetta, ma il brano ideale per i miei gusti?” È ovvio che ciascuno di voi può avere sia idee differenti che diverse opinioni in proposito. Il primo elemento fondante che mi viene in mente è l’intro: suonata dalla chitarra in arpeggio o dal pianoforte, non deve avere una lunghezza eccessiva, per non stancare l’ascoltatore e portarlo via dalla canzone. Devo ammettere di essere un amante delle intro di chitarra e di pianoforte, anche perché contribuiscono a creare curiosità nell’ascoltatore, che si chiede se il brano proseguirà o meno in linea con l’intro stessa. Ovviamente devono essere ben costruite, assomigliare quasi ad una mini canzone, posta all’inizio del brano vero e proprio. Ci possono essere intro molto soft, che portano poi ad un proseguimento della canzone molto più potente e sostenuto, che quindi sorprende chi ascolta, oppure intro molto aggressive e ritmate, in linea con quello che sarà il proseguimento del pezzo: in quest’ultimo caso, l’ascoltatore è già in qualche modo preparato. Una delle intro più belle che mi sia capitato di ascoltare è quella della canzone “Hotel California” degli Eagles, un’esaltazione del potere ammaliante di uno strumento come la chitarra, che riesce a stregare anche con pochi accordo, se ben congegnati e correttamente giustapposti.

Un altro elemento fondamentale a mio parere deve essere il riff: in questo caso posso citare tre maestri in questo campo, cioè Keith Richards, Jimmy Page ed Angus Young, che sono riusciti ad eccellere in quest’arte, perché secondo me quando hanno scritto i propri famosi riff hanno seguito ciò che il cuore gli comunicava in quel determinato momento, oltre alle emozioni che provavano quando si sono messi a strimpellare le proprie chitarre, alla ricerca di un’idea che fosse imbattibile, che arrivasse direttamente alla pancia, al cuore ed alla mente del pubblico, esattamente in questo ordine.

Posso citare tre esempi, legati ai grandi chitarristi che ho citato: “I Can’t Get No) Satisfaction” degli Stones, “Whole Lotta Love” dei Led Zeppelin e “Thunderstruck” degli AC/DC.

Gli esempi che ho fatto sono emblematici di quanto ho sostenuto in precedenza, perché riescono a combinare la capacità di catturare immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore, senza cadere nella banalità e nell’ovvietà. Penso che alcune volte sia questo l’errore più comune che commettono alcune band: pensano che un riff accattivante debba essere necessariamente semplice, formato cioè da uno o due accordi fra i più conosciuti. Ritengo che solo i grandi chitarristi siano in grado di trovare la bellezza anche nella semplicità, senza comunque cadere nella banalità. Per semplicità io intendo pulizia, linearità ed orchestrazione ben eseguita.

Un ulteriore elemento che secondo me non deve mancare all’interno di una canzone ben fatta sono le variazioni, i cambi di ritmo: ci deve essere un tema centrale, che poi si sviluppa in varie variazioni: un esempio che posso portare è la canzone dei Led Zeppelin “Bring It On Home”. Essa infatti inizia come un blues, con tanto di armonica suonata da Robert Plant, per poi proseguire nella parte centrale come un brano hard rock, per poi ritornare alla fine al blues di partenza. Non per nulla si tratta di una delle canzoni dei gruppo che amo maggiormente, proprio per questa sua caratteristica intrinseca. Sono convinto che una band con le sue canzoni debba sempre cercare di stupire l’ascoltatore, offrendogli soluzioni interpretative differenti e non dandogli modo di “sedersi” su una sola linea melodica, che non varia mai e prosegue per l’intero brano. Ogni volta che ascolto una variazione di ritmo o di melodia in una canzone, la prima domanda che mi pongo è: “Ce ne saranno altre?” La mia speranza è sempre che la risposta a questo mio interrogativo sia positiva. Emblematico da questo punto di vista è il genere Progressive, a mio parere il più complesso in assoluto, sia da eseguire che da ascoltare: ogni suo brano è un insieme di parti diverse, suonate in modo differente e talvolta con vari strumenti. Non è un caso che questo genere riunisca sotto il suo cappello vari generi, ognuno con la sua ben definita identità e con il suo spazio ben determinato all’interno del brano.

Come facciamo poi a non considerare l’assolo di chitarra come uno degli elementi fondanti di una canzone? Qui gli esempi sarebbero molteplici: io credo che un chitarrista debba avere la capacità di non suonare mai lo stesso assolo, ogni volta che esegue quella determinata canzone. Un chitarrista che mi viene in mente a questo proposito è John Frusciante dei Red Hot Chili Peppers: mi è capitato di ascoltare su YouTube alcune canzoni suonate dal vivo da parte del suo gruppo e mi sono accorto che lui non ha praticamente mai suonato allo stesso modo un assolo di un determinato brano. Ogni volta modificava la tonalità, variava le note, allungava o accorciava la durata dell’assolo stesso, aggiungendo o togliendo alcune parti.

Credo si sia capito che amo molto la capacità di diversificare, di variare: secondo me è uno degli elementi imprescindibili della bellezza di una canzone.

Ritengo inoltre che un assolo ben fatto debba riuscire ad integrarsi al meglio nello sviluppo di un brano, riuscendo al contempo a portare qualcosa di nuovo, di diverso. A me piace molto quello presente nella canzone “Alive” dei Pearl Jam, che dura più di un minuto, ma non stanca: vorrei che non finisse mai tanto lo amo.

L’ultimo elemento, da non tralasciare mai, è il testo: ogni canzone deve avere un messaggio da comunicare, un’idea di fondo su cui svilupparsi.

Qui faccio l’esempio di “Bohemian Rapsody” dei Queen, nella quale a mio parere Freddie Mercury dà il meglio di sé dal punto di vista della scrittura.

Ma mi vengono in mente anche i concept album, in cui ogni canzone deve proseguire il discorso iniziato dalla precedente, per fare in modo che il disco segua un filo conduttore ben definito e racconti una storia.

Sono convinto che un testo semplice ed ammiccante venga apprezzato da un ascoltatore che ha poca cultura musicale o che preferisce dedicare la propria attenzione solo alla melodia di un certo brano, mentre un testo “impegnato” e complesso riesca a stimolare la fantasia e l’immaginazione di qualcuno che vuole sentirsi raccontare una storia, oltre ad ascoltare una piacevole melodia.

Un testo ricco di significati contribuisce secondo me anche ad incrementare la fama di un certo gruppo fra gli ascoltatori più “attenti”: in questo caso ammetto una mia piccola mancanza, perché a volte mi soffermo esclusivamente sulla linea melodica di un certo brano, senza dedicarmi anche al suo testo. Questo è un errore, perché una canzone è l’insieme indissolubile di musica e parole. Voi direte: “Predica bene e razzola male”, è in un certo senso avete ragione. Prometto che rimedierò a questa mia lacuna il più presto possibile.

Spero di aver suscitato con questo articolo il vostro interesse e di avervi dato qualche ulteriore indizio sul mio modo di intendere la musica.

Grazie per l’attenzione e a presto.


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