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Immagine del redattorePaKo Music

Il disco di debutto dei Dire Straits

Un altro articolo scritto da Massimo Comi, dedicato ad un gruppo che ha scritto la storia del rock melodico.

I Dire Straits con la chitarra e la voce inconfondibili di Mark Knopfler.

DIRE STRAITS

Oggi, mentre ero in giro in bicicletta, ho ascoltato il primo disco dei Dire Straits, perché mi sono ricordato che una mia amica mi aveva detto che erano il suo gruppo preferito e perché non me lo ricordavo nella sua interezza, devo ammetterlo.

Le prime sensazioni che ho avuto sono state di sorpresa, perché mi è sembrato un disco già maturo, con tutti gli elementi per intrigare, oltre che un'opera affascinante e delicata, in grado di cullare l'ascoltatore con le proprie note.

Al suo interno sono infatti presenti dei brani che fanno della semplicità (attenzione, non della banalità) e della melodicità la loro cifra distintiva.

Durante l'ascolto, mi sono sentito davvero bene, perché le varie canzoni, nel loro scorrere, mi hanno trasportato in un mondo fatto di sogni e di immaginazione: la cosa che mi ha stupito di più, comunque, è stata il fatto che esse fossero tutte estremamente ballabili, sia quelle più lente che quelle dal ritmo più sostenuto.

La radice alla base di tutto l'album è il blues, rielaborato però in chiave più moderna e con un sound, dato dal sensazionale tocco di Mark Knopfler (rigorosamente senza plettro), molto innovativo per l'epoca in cui l'album è stato pubblicato.

Album di debutto (1978)

Non per niente ho parlato di un album che mi è sembrato già maturo, per essere un disco di debutto: ho avuto l'impressione che il gruppo avesse già le idee chiare su quale direzione prendere, su quale sarebbe stato l'impatto della loro musica sul pubblico.

Se dovessi intraprendere un viaggio “on the road”, sono sicuro che mi porterei questo disco, perché, se lo si ascolta ad occhi chiusi, si viene a contatto con una musica in grado di far viaggiare la mente, in un modo piuttosto intrigante: questo perché l'articolazione dell'album riesce ad essere anche piuttosto varia, con canzoni dal ritmo ballabile e trascinante e al contempo pezzi molto “morbidi”, in cui la delicatezza delle note della chitarra accompagna chi ascolta in un'atmosfera più soft, ma comunque estremamente attraente.

Se devo dire un elemento che mi è particolarmente piaciuto di questo disco, metto in evidenza la sua varietà, perché esso alterna sapientemente, come già detto, brani più “grintosi” a brani più compassati, pur mantenendo immutati lo stile e la classe di fondo.

Il climax si raggiunge, come è facile pensare, con la canzone “Sultans of Swing”, che con il suo storico e famosissimo riff porta l'album su vette compositive e sonore molto elevate e nel quale la voce e la chitarra del leader Mark Knopfler formano un bellissimo connubio, alternandosi e quasi “chiamandosi” l'una con l'altra, fino all'apoteosi dell'assolo finale.

Si dice che lo stesso Knopfler abbia intitolato la canzone in quel modo dopo aver ascoltato in un locale l'esibizione di un gruppo chiamato proprio così.

Mark Knopfler durante un concerto

La canzone che segue “Sultans of Swing”, intitolata “In the Gallery”, è uno stupendo esempio di blues moderno, e nei suoi oltre sei minuti di durata riesce a non annoiare mai, con la sua, passatemi il termine, “compassata ballabilità”: pur non avendo un ritmo sostenuto, riesce a tenere incollato a sé l'ascoltatore, grazie al particolare dialogo tra chitarra e base ritmica, che tramite questo brano riesce a conquistarsi un posto di primissimo piano nella struttura complessiva dell'album, allargandone gli orizzonti ed appianando ogni tipo di spigolosità, grazie ad una grande capacità di porre come punto focale della canzone pochi strumenti, che riescono a tenere botta in modo egregio.

In generale, quasi tutto il disco è caratterizzato dalla predominanza di questi strumenti, che in alcune canzoni, come quella appena citata, è talmente bello ed interessante da catturare immediatamente l'attenzione, da sollecitare la mente e lo spirito di chi ascolta, lasciandolo con un senso di pienezza e completezza che hanno pochi eguali nella produzione discografica della fine degli anni '70.

Insomma, questo disco mi piace molto, come avete avuto modo di capire, e sto continuando ad ascoltarlo, quasi in loop: è raro che io ascolti un album più volte nell'arco di una stessa giornata, quindi deve trattarsi di un'opera davvero coinvolgente, almeno per me.

MARK E LA SUA CHITARRA

Non dimentichiamo infine la voce di questo grande artista, molto caratteristica nella sua “crudezza” e nella sua graffiante tonalità. Caratteristico è il tono basso che essa mantiene per tutto il disco: non ci sono acuti né falsetti, ma una speciale costanza nel canto, insieme ad una certa particolarità, perché esistono secondo me anche dei tratti non trascurabili di melodicità e morbidezza, che fanno da contraltare alle caratteristiche appena nominate.

Possiamo dire che Knopfler canta a volte in modo rude, a volte in modo morbido, a seconda di quello che la canzone di volta in volta richiede. Questo contrasto contribuisce a rendere la fatica discografica del suo gruppo ancora più interessante ed intrigante.

Quando si parla del suo leader, si accenna solo al modo in cui suona la chitarra, ma questo secondo me non gli rende pienamente giustizia, perché sa anche interpretare le varie canzoni nel modo giusto, mutando le caratteristiche della propria voce. Questo ovviamente è quello che penso io, voi siete liberi di essere d'accordo o di dissentire.

Quello che conta per me, alla fine di questo articolo, è che i Dire Straits hanno debuttato in modo estremamente efficace, dimostrando come detto maturità e capacità di spaziare tra ritmi e sound diversi, mantenendo come caposaldo lo stretto dialogo tra la chitarra e la base ritmica


I DIRE STRAITS
 

DIRE STRAITS (1978) ALBUM DI ESORDIO

 

DIRE STRAITS 1980 - MAKING MOVIES



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